venerdì 31 gennaio 2014

LABORATORIO

Ieri sera mi sono addormentata con una serie di immagini e parole nella testa.

Prima di cena - rientrando da una girata sotto la neve in una Pavia infreddolita e magica - la prima cosa che ho notato nel buio della casa è stata la luce bianca del giardino davanti che entrava prepotente dal finestrone.

Normalmente di questa stagione chiudiamo le persiane appena fatto buio per evitare di disperdere il calore (piccolo accorgimento che per pigrizia pochissime persone adottano). Ma ieri sera, chiuse tutte le altre finestre, questo clima lunare dovevamo godercelo fino in fondo!

Poi ho trovato lo scatto che zio Paolo ha fatto ieri mattina, all'inizio della nevicata:

uno scatto geniale di Paolo Salvi (zio Paolo, insomma)

Ve lo regalo volentieri perché in un attimo mi ha fatto venire in mente un sacco di associazioni di idee:


  1. Come fanno le persone a vivere e lavorare senza guardar mai fuori dalla finestra? Lo sapete che oggi nelle aziende si lavora giornate intere in spazi senza finestre? e si fa formazione nei seminterrati? Lo sapete che in tutti i grandi alberghi che ospitano convegni e seminari (quando si dovrebbe stare più sereni per essere meglio concentrati) le sale sono rigorosamente con luce al neon e aria forzata?
  2. Come fanno i bambini curiosi a dare credibilità a un insegnante che considera più importante quello che sta spiegando, rispetto al miliardo di cose che potrebbe scoprire e condividere con la classe solo guardando insieme questo scorcio? Lo sapete, vero, che se un bambino guarda fuori mentre nevica o mentre cade una foglia o perché compare la prima rondine... accumula una serie di punti a suo sfavore, finendo presto nella lista dei bambini distratti e incapaci di concentrarsi da segnalare in consiglio di classe?
  3. il laboratorio della nonna Pina, la vera Bottega dell'Apprendista, quello che era l'ambiente ideale per i miei giochi e per le mie prime scoperte e ritrovo serale per la Guerra degli Spilli, era un continuo "fare" e osservare e imparare e chiacchierare di quel che succedeva dentro e fuori. Le mani andavano veloci ed esperte e gli occhi si muovevano rapidi tra la stoffa da tagliare, il modello da realizzare e un'occhiata al lavoro di tutte. Nella massima concentrazione, con risultati eccellenti.
  4. Questo specchio è un pezzo delle vecchie toilette che si usavano nelle case contadine fino a qualche decennio fa: io me le ricordo davvero nelle case delle "ragazze" che lavoravano dalla nonna Pina, che da piccola mi portavano la sera qualche volta a casa loro. Sotto, la cucina con il camino e la mamma di Mariuccia (Puccia Motta come la chiamo ancora io!) con le sue ciambelle da urlo che profumavano tutta la casa e salivano le scale che portavano alla camere dal pavimento di legno scricchiolante. La mia memoria "sensoriale e motoria" ha tutto impresso in modo indelebile: odori, rumori, paure, stupori, luci, ombre e movimenti.
Per anni ho avuto questi "pezzi di vita" nella mia piccola camera all'Ospitale, in Toscana, e poi alla Balzana, e poi qui a Pavia. E ora sul balcone, con una pianta, per "aprire lo sguardo" a chi è pronto a farlo.

Grazie zio Paolo, per avermelo riproposto con la tua "laboriosa" e geniale chiave di lettura!





"Il problema è avere gli occhi e non saper vedere, non guardare le cose che accadono. Occhi chiusi. Occhi che non vedono più. Che non sono più curiosi. Che non si aspettano che accada più niente. Forse perché non credono che la bellezza esista. Ma sul deserto delle nostre strade Lei passa, rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi di infinito desiderio."  (Pier Paolo Pasolini)