sabato 7 dicembre 2013

IL FIUME e LA NEBBIA


Oggi, 7 dicembre 2013 (S. Ambrogio), splendida e "miracolosa" giornata di sole a Pavia e temperatura quasi primaverile: quello che ci voleva per facilitare la vita a noi "traslocatori quasi di professione", alle prese con un nuovo luminoso inizio.

Sì, perché 3 anni fa - più o meno di questi tempi - zio Paolo e io abbiamo inaugurato lo studio in queste condizioni:

E meno male che faceva "luce" il mio giaccone!

Fatto - manco a dirlo - dalla nonna Pina
con il famoso Panno del Casentino, la terra che mi ha "catturato e adottato" per 30 anni.

Una bella metafora per la mia vita, e per rispondere alla domanda che mi sento ripetere da qualche anno a questa parte: "Ma se hai vissuto 30 anni in Toscana in quel luogo da sogno, come hai fatto a tornare a Pavia?"

"È per colpa di quel fiume se io sono ancora qui..."


Certo il fiume è un pezzo grande della mia infanzia e della mia vita da liceale e universitaria. Ho abitato "sul Ticino" da quando avevo un anno fino all'adolescenza, e dalle vetrate della mia casa al terzo piano - proprio a metà tra i due ponti - il fiume è stato il mio sfondo emotivo e cromatico.

Paride il barcaiolo; le regate in canoa e i motoscafi del raid Pavia-Venezia; il mio primo (e unico) giro sul motoscafo rosso della signorina Ollano; le prime passeggiate  all'inizio di ogni primavera con i bambini piccoli (le cuginette appena nate quando io avevo 5 anni, e i miei nipotini quando ne avevo 15); i marciapiedi del viale su cui - di giorno - correvo con i pattini a rotelle vinti con i formaggini rischiando di capottarmi sui "foruncoli" provocati dal catrame in ebollizione e dalle radici degli alberi; gli stessi marciapiedi che - di notte - si popolavano di signore a cui non riuscivo a dare un'identità.

E la poesia che ho scritto a 10 anni guardando il tramonto, quando ho usato - per descriverne i colori - le diciture dei pastelli che mi avevano appena regalato:

Verde cupo dei boschi,
violetto rosato,
garanza rosa,
arancione e giallo,
bianco grigiastro
e azzurro verde e turchino.

Voi dominate sul ponte
al tramonto del sole.
Vi riflettete, o colori,
sul mio bel Ticino.

Pavia, 21 novembre 1965


Solo oggi mi sono levata lo sfizio di cercare su Google quella parola che non avevo (e non avrei) mai sentito da nessuno, e che per questi 48 anni mi è tornata in mente a ogni tramonto, insieme alla certezza di averla letta sul pastello e al dubbio di essermela inventata:
Lacca di Garanza Rosa

I ricordi con le persone, potentissimi: il nonno Carlo e Petula Lita; le passeggiate al sole con Zia Tuci; i ricordi dell'attesa di Gabri (mio fratello) che stava a pescare per ore (con la nonna Pina e il nonno Aurelio non so se arrabbiati o preoccupati e io che stavo di guardia finché non lo vedevo arrivare col suo barcè); e per par condicio Chico (l'altro fratello) e il Cattagni, che nel 1967 (anno di introduzione dell'ora legale) si ostinavano a tenere l'orologio con l'ora solare per essere originali.... (collego questo episodio a un ricordo vivido di noi tre nel piazzale dove Paride tirava su le barche al pomeriggio); la riva dove ogni tanto andavo coi libri a studiare con Alida, mia sorella, e i punti esatti dove lei mi faceva le prime foto a colori nell'età in cui mi vergognavo di "mettermi in posa".

Le processioni bianche e dorate di maggio con l'abito della prima comunione e la candela in mano; le sfilate colorate delle matricole con i loro rumore di barattoli legati ai piedi; il Palio dell'Oca quando lo facevano in grande stile (viva Google! ho trovato un film LUCE dell'epoca - guarda caso - recuperato dal Cattagni di cui sopra):



Insomma... questo fiume... dove era destino tornassi anche per guarire ...
FA SEMPRE MIRACOLI!
e io nei MIRACOLI, riesco comunque a crederci.

(...)
Perchè in fondo il mare ha un lato
un solo lungo lato blu
e anche lo sguardo più allenato
non può vederne mai di più

mentre chi vive accanto a un fiume
anche se è grande come qui
vede benissimo il confine
e non può credere ai miracoli
(...)